riceviamo e pubblichiamo:
"[...]Arrivo a Montecatini che è già la mezzanotte, entro nel giardino di un caffè, mi metto a sedere davanti a un tavolino, ed ecco che il pubblico sparso nel caffè si alza e mi viene intorno. "son pratesi" dico fra me. Eran pratesi: dirigenti e giocatori del Prato, col loro Presidente, Giomi, in testa, convenuti a Montecatini per festeggiare la vittoria della loro squadra, passata, com'è noto, in Serie C dopo lunga, faticosa, difficile lotta. Mi vengono intorno, mi offrono di quegli ottimi biscotti pratesi del Mattonella, famosissimi in Toscana [...]; e subito incominciammo a parlare di gioco del calcio, della squadra del Prato, e di Prato e dei pratesi. E così, dal gioco del calcio, si passa a parlare del meraviglioso sviluppo che sta prendendo la nostra città, e dei pericoli che la minacciano. Tra i quali c'è l'esodo di molti grossi industriali pratesi, che da qualche anno in qua si trasferiscono a Firenze non soltanto con le loro famiglie, ma con gli stati maggiori delle loro industrie (direzione, amministrazione, uffici commerciali, uffici tecnici ecc.), forse credendo di nobilitarsi, andando a star di casa a Firenze, e di dar lustro e decoro al gran denaro guadagnato in Prato lavorando gli stracci. (Tanto per intenderci, e per tappar la bocca ai soliti maligni, che quando parlan di Prato parlan di stracci, come se fossero stracci pratesi, dirò che gli stracci, a Prato, vengon tutti di fuori. Noi li lavoriamo soltanto; ma son stracci forestieri). E qui, prima uno, poi un altro, poi un terzo, poi tutti in coro, si mettono a raccontarmi con voce allegra che gli industriali pratesi trasferitisi a Firenze se ne stanno andando a gambe all'aria uno dopo l'altro, per giusto castigo del cielo. E mi citano, nomi e cognomi, esempi di recenti, clamorosi fallimenti, di grosse fortune andate a rotoli, e profetizzano il tempo, ormai prossimo a sentir loro, in cui tutti gli industriali pratesi emigrati a Firenze dovranno, per evitare il disastro, e per rimettersi in piedi, tornare a Prato e ricominciare da capo. Io vorrei dire che mi dispiace per quei poveretti, di molti dei quali sono amico, ma non oso aprir bocca, tanta è la gioia, tanta è l’allegria, che le loro disgrazie suscitano nei miei interlocutori. E dalle loro parole esaltanti mi par di capire che il cielo non punisce quei poveretti solamente perché hanno disertato Prato, ma perché non danno un soldo per aiutare la squadra pratese. Ora è chiaro, che sebbene il Prato sia riuscito a passare in Serie C, non si può dire che sia una squadra degna della nostra città. Per la sua importanza economica, per la potenza e la ricchezza delle sue industrie, per la giusta fama d’intelligenza e di operosità di cui gode nel mondo, Prato dovrebbe avere almeno una squadra nazionale di Serie A. In un mondo come il nostro, in cui l’importanza e l’onore di una nazione, di un popolo, di una città, si giudicano dalle loro squadre di calcio, (Milano, con tutte le sue industrie, sarebbe una cittadina di provincia, se non avesse l’Inter e il Milan, Torino, con tutta la sua Fiat, non sarebbe, senza la Juventus e il Torino, che un sobborgo di Moncalieri), una città come Prato non può rimanere in Serie C. Pensare a quel che sarebbe la nostra città, se il Prato riuscisse a passare in Serie A! Come il Foscolo esortava gli italiani “alle istorie”, così io esorto i pratesi a passare in Serie A. E, tanto per cominciare, esorto il Befani, industriale pratese, e presidente della Fiorentina, a dare al Prato almeno la metà di quello che dà alla Fiorentina, se non vuol far la fine di tutti quegli industriali pratesi che tradiscono Prato."
(Curzio Malaparte - articolo pubblicato sulla rivista "Tempo" l'8 luglio 1954)
Nik
Mi e' sembrato di leggere una pagina di attualita' su di un nostro quotidiano locale. In 64 anni non e' cambiato niente.Che dire...niente, tanto per dire.
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