lunedì 31 agosto 2009

"La mia Jamaica"

Prato non è esattamente Siena o Firenze, Prato si è allargata a proprio comodo, senza uno straccio di regola, si è presa il suo posto nella piana con raro disordine, si è allargata per quanto possibile in tutta questa enorme metropoli che da Firenze va verso Pistoia, fatta di un gran casino di edifici, case e palazzine, di stili e gusti diversi, alcuni veramente brutti, in mezzo ai quali improvvisamente trovi i centri storici come dei piccoli mondi a parte.

Prato no, non la vendi come città d’arte, essì che di cose ne ha eccome. Sto cercando di spiegare la geografia del luogo all’amica giamaicana di mio cognato, in arrivo dagli States dove ormai vive, che ospiterò per qualche giorno. La sto portando da Prato a casa mia, a Montale, a cavallo tra le due province di Pistoia e Prato, quest’ultima minuscola, voluta per forza, perché noi toscani amiamo molto dividerci e distinguerci gli uni dagli altri, essere rivali ed in perenne polemica e darsi soprannomi dall’ironia spietata, farsi la guerra a parole.

Montale è un'altra cittadina che non potrebbe mai spacciarsi per un borgo medievale. E’ fornita di chiese antiche come ogni città italiana, ha le sue ville e castelli, ma non la puoi paragonare a Montepulciano. Il mio affetto per lei è proprio quello di una figlia.
Lungo la strada Bree mi dice che trova tutto molto bello, ma quanto è distante casa tua, mi chiede. Rispondo pochi chilometri, ribatte che non si fa un’idea della distanza se non le dico quanto tempo si impiega e io mi accorgo che la domanda è assai difficile, perché dipende dal traffico, perché la mattina ci metto più di mezz’ora, quando va bene, per coprire l’invidiabile distanza di quindici chilometri. Taglio corto e rispondo, venti minuti.
Scopro con sorpresa che, per uno viene dagli States, abito lontana dal mio posto di lavoro, ero convinta che l’America fosse il paese delle grandi distanze e dei pendolari dei sobborghi. In realtà molti trascorrono le loro vite in tre o quattro isolati, soprattutto gli studenti.

Chiacchieriamo volentieri e penso a tutta la ruggine che ho lasciato ammassare sul mio inglese per anni, e vorrei essere corretta e precisa, ma ogni tanto mi scappa una “s” di troppo o mi inalbero in improbabili giri di parole per arrivare ad un’altra parola che non ricordo. Pazienza. Almeno quando parlo inglese non aspiro le “c”.

Mentre mi sforzo di sembrare oxfordiana lei esclama: Wow! E mi indica le colline sopra Montale e Montemurlo, quasi tutte verdi ora che l’inverno è alle spalle, “just like Jamaica”, dice, e io veramente non mi capacito, comincio a pensare che questa figliola abbia qualche venerdì in meno. Insomma arriviamo e mi spiega che le mie colline, quelle lì verdi (io cerco sempre colline quando vado via di qui, è come se avessi bisogno di quel qualcosa che mi protegge, non sopporto i paesaggi piatti), con i gruppuscoli di case, gli edifici isolati e rurali, sono simili a quelle che vede lei a casa sua. E a questo punto sono io che dico, Wow, e penso anche, tiè! da buona toscana, ai più altezzosi fiorentini, ai più nobili pistoiesi, a quelli delle grandi città che se la tirano. Qui Giamaica, a voi la linea.

Lisa Taiti, Prato

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