mercoledì 7 aprile 2010

Le priorità del New York Times, le lobbies, il Papa e i Pulitzer de noantri.

ricevo e pubbllico:

Le priorità del New York Times, le lobbies, il Papa e i Pulitzer de noantri.

Di Giacomo Fiaschi Tunisi, 27 Marzo 2010.


"Il motivo che spinge le istituzioni ebraiche a sostenere ancora a spada tratta le screditate politiche di questa amministrazione fallimentare non è certo un segreto.
Il loro scopo principale, che sovrasta qualsiasi altra considerazione, è la difesa di Israele. Questa idea fissa le lega sempre più strettamente a una Casa Bianca che si è identificata con la lotta contro il terrorismo islamico. Questa lotta ha prodotto esiti catastrofici per l'umanità, ma questo non è motivo di preoccupazione per le istituzioni ebraiche."
8 dicembre 2006, Dichiarazione di J.J. Goldberg, direttore di Forward (il principale settimanale ebraico negli Stati Uniti)

Che il NY Times rappresenti, più che un giornale, una vera e propria istituzione, o meglio l’interfaccia con il grande pubblico di quel ristretto contesto liberal-chic all’interno del quale, sin dalla sua fondazione, nel 1851, maturavano le idee e i propositi progressisti, lo sappiamo bene tutti. Il giornalista Henry Jarvis Raymond, fondatore con George Jones della Raymond, Jones & Co., la società che diede vita al NY Times, era membro della New York Assembly, e sostenitore del partito Whig, che riproponeva le stesse istanze dell’omonimo partito inglese dell’epoca. Il giornale nacque, dunque, in un contesto lobbistico, fortemente politicizzato e con l’obiettivo di dare velocemente visibilità, spazio e popolarità ad un pensiero che, diversamente, per propagarsi negli strati sociali più estesi, avrebbe faticato non poco e, soprattutto, avrebbe avuto bisogno di molto, moltissimo tempo.
Non desta, perciò, meraviglia che le lobbies americane dei nostri giorni continuino ad utilizzare una certa stampa e i media in generale per portare avanti i loro interessi: tutto ciò fa parte della loro migliore e più genuina tradizione.
Che sia questo il retroscena dell’attacco mediatico, tanto poderoso quanto insulso, che ha visto impegnato il NY Times in questo assalto alle mura leonine?
Cerchiamo di capirci qualcosina. Non è poi tanto difficile. Basta dare un’occhiata a Wikipedia. Vediamo un po’ cosa ci racconta:
Nel corso del 2007 la sede del Times è stata trasferita dallo storico edificio sulla 43a strada al nuovo grattacielo di 52 piani sull'ottava avenue disegnato da Renzo Piano e del quale il giornale possiede circa il 58%. Un anno dopo il trasferimento la testata ha clamorosamente annunciato di avervi messo un'ipoteca di 225 milioni di dollari.
Alcune modifiche hanno interessato nello stesso periodo anche il giornale: il formato è stato ridotto, alcune sezioni sono state riorganizzate e soprattutto si è cominciato a preparare la risposta alla sfida che nel 2008 è stata lanciata dal nuovo Wall Street Journal di Rupert Murdoch, allo scopo di spodestare il NYT dal ruolo di quotidiano principale degli Stati Uniti. Oggi il grattacielo sede del NYT è al centro di una grossa operazione finanziaria, che ha l'obiettivo di reperire la liquidità necessaria soprattutto per azzerare l'indebitamento a lungo termine della casa editrice del quotidiano. Ventuno dei 52 piani dello stabile verrebbero acquistati per 225 milioni di dollari dal gruppo finanziario WP Carey. Trascorsi 10 anni, il Times potrà riacquistare parte dell'immobile alla stessa cifra incassata per il primo passaggio di proprietà. Nel frattempo pagherà un canone annuo variabile che, per il primo anno, ammonterà a 24 milioni.
Il 5 gennaio 2009 il NYT ha per la prima volta venduto uno spazio pubblicitario sulla prima pagina, da sempre considerata lo spazio informativo più importante del giornale. Si tratta di una striscia a colori di 6 cm, ceduta alla rete televisiva CBS. La decisione è stata presa per contrastare la crisi economica che ha colpito anche il prestigioso quotidiano.

Insomma, dal punto di vista finanziario, non è che le cose, al NYT, vadano poi così tanto bene.
Facciamo, ora, l’ipotesi che un personaggio che gode di visibilità e buona fama mondiale dica qualcosa che non sia piaciuto troppo a qualche soggetto bene in carne dal punto di vista finanziario. Mettiamo il caso che questo soggetto non solo non sia estraneo alla tecnica lobbistica, ma che sia, anzi, un vero e proprio maestro nell’arte del complotto lobbistico. E’ naturale che questo soggetto, per colpire quel personaggio, tiri fuori gli attrezzi del mestiere e dia il via ai lavori dell’arte in cui eccelle. Lo scopo è chiaro e comprensibilissimo: quello di mettere in forse la sua buona fama, e di fargli crollare addosso il peso della stessa visibilità mondiale di cui gode.
Fin qui ci siamo. Ora proviamo a immaginare cosa succederebbe se al Papa, personaggio che gode di visibilità mondiale, saltasse in mente di beatificare Pio XII. Figuriamoci se a qualche bel soggetto che appartiene a quella piccola parte di istituzioni ebraiche, vere e proprie lobbies, anzi lobbies per eccellenza, di cui parla Goldberg, sfugge l’occasione di tentare il colpaccio.
Esiste questo collegamento fra NYT e lobbies nel caso dell’attacco al Papa? Forse no, ma abbiamo dimostrato che non è inverosimile, e nemmeno improbabile. Per poter affermare con certezza che c’è stato, bisognerebbe avere in mano le prove, e per avere in mano le prove bisognerebbe disporre dei mezzi finanziari per poter sostenere ricerche appropriate che permettano di entrare in possesso di documentazione seria. Possibilmente molto più seria di quella che son riusciti a mettere insieme, raffazzonando mezze verità e menzogne totali, i giornalisti del NYT andando a giro a raccattar spazzatura nelle sacrestie di mezzo mondo.
Noi, che non abbiamo nessuna lobby che ci finanzia, non possiamo permetterci quello che si son permessi di fare i giornalisti del NYT. Perciò non facciamo affermazioni, lasciando all’intelligenza del lettore ogni considerazione in merito alla vicenda.
Di sicuro possiamo dire che, se si osservano i fatti sotto questo punto di vista, esiste più d’un motivo per nutrire qualche ragionevolissimo dubbio sulla genuinità di questo modo di fare informazione.
Per quel che riguarda il giornalismo nostrano, casereccio assai e certamente un po’ sgangherato al confronto di quello più blasonato del NYT, bisogna osservare che non manca chi, sul tema, riesce a far la sua bella figura. Come ha fatto, per esempio, Vittorio Feltri quando ha affermato che non gode di protezioni in quanto non è un prete pedofilo. Grazie a questa sua dichiarazione spontanea, adesso tutti finalmente sappiamo con certezza che Feltri non è un prete. Roba, questa, da Premio Pulitzer, altro che NYT!
E’ noto a tutti l’impegno di Benedetto XVI nel far luce e nel voler risanare a fondo la piaga della pedofilia che si è manifestata anche nel mondo ecclesistico. Se tutti i responsabili, dai capi di stato o di governo sino al presidente dell’ultima associazione, prendessero esempio da lui è fuori dubbio che questo problema troverebbe soluzioni molto più efficaci di quelle che, purtroppo, sono state trovate sino ad oggi. E’ risaputo, infatti, che una poderosa percentuale dei casi di pedofilia si consuma all’interno dei nuclei familiari, e che da questo vergognoso vizio non è esente nessuna categoria sociale. Il fatto che ci siano stati preti che si sono macchiati di questo crimine è cosa nota, alla quale è stato dato, peraltro, gran risalto su tutti i media. Meno si è fatto, e si sta facendo, altrove, dove, magari potrebbe esser fatto molto di più e dove sarebbe opportuno e necessario intervenire con modalità e mezzi di gran lunga più idonei a sanare a questa piaga. Per esempio poco o nulla è stato fatto per combattere il cosiddetto turismo sessuale, tuttora vivo e vegeto, che vede coinvolte e interessate vere e proprie organizzazioni transnazionali specializzate nel trarre profitti da questo traffico.
Appare, quanto meno, strano che il NYT, in un contesto generale simile, abbia scelto di scagliarsi proprio contro il Papa, che con la pedofilia c’entra solo per la sua presa di posizione di condanna chiara, netta e intransigente. Se il NYT avesse messo le stesse risorse a disposizione della guerra contro chi organizza il turismo sessuale, del quale le prime vittime in assoluto sono i bambini, avrebbe certamente fatto qualcosa di più utile a combattere la pedofilia e ad informare i propri lettori su qualcosa di tristemente reale e drammaticamente attuale.
Ma, evidentemente, il NYT ha, in questo momento, ben altre priorità.

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