Di seguito il ben articolato ed invero ben scritto articolo di Damiano Baroncelli.
Disegna un quadro, invero un quadro ben noto che vede le tinte fosche dell'immigrazione cinese regolare e clandestina, di un drago strisciante pronto a mangiarsi cultura, economia ed il modello intero di vita del cittadino italiano.
Ne deriva che l'unico modo per fare rispettare il "modello Italia" sarebbe quello di fare di tutto per reprimere il fenomeno cinesi e non il fenomeno Cina (che è altra cosa), potenziando a tal punto la repressione, e confidare - in estrema sintesi - che le migliai dei cinesi si impauriscano di simile forza (arrivano ben otto poliziotti a breve, magari superpoliziotti con equipaggiamenti speciali) e scappino via impauriti e tremanti.
Questa sarebbe il modello occidentale che apparterrebbe secondo Baroncelli alla nostra cultura occidentale ed al nostro stato di diritto! Beh, pur comprendendo le motivazioni e le ragioni che inducono ad essere duri contro chi delinque, altrettanto debbo dire che il nostro modello di diritto ci impone il tentativo di tendere la mano a chi vorrà tenderla a noi.
Questo è il mio modello, ben distante dal modello Padania, dunque.
Partire dal presupposto che perchè è cinese o perchè l'analisi storica di quel fenomenorechi a simili conclusioni, la mia cultura (quella occidentale, quella che ci anima e ci guida e che vorremmo fosse patrimonio di tutti) mi induce a fare quell'antipatico, odioso, antipopolare tentativo d'integrazione!
Diverso da venti anni fa: oggi sappiamo, non ci tappiamo gli occhi. Oggi ci muoviamo e siamo d'accordo reprimere l'illegalità, ma abbiamo anche gli occhi per vedere che il fenomeno cinese è ben più ampio di quello che si racconta come una favola e il buon politico ha il dovere di trovare delle soluzioni, di individuare compromessi (nel senso positivo del termine), di contemperare quegli equilibri su cui oggi si muove la città.
Imperativo: andare oltre la gestione dell'emergenza.
"Cinesi a Prato: la vera sfida non è l'integrazione, ma la sopravvivenza del modello occidentale dello Stato di diritto
Cinesi a Prato: la vera sfida non è l'integrazione, ma la sopravvivenza del modello occidentale dello Stato di diritto.
Leggendo alcuni resoconti sull'insediamento odierno a Prato, alla presenza del Ministro dell'Interno Maroni, del Tavolo Permanente sull'Immigrazione, si avverte il tentativo mai sopito di alcune parti di rilanciare attaverso l'integrazione la soluzione della aliena e dilagante presenza della comunità cinese sul territorio. Come se venti anni di insuccessi non avessero insegnato nulla!
L'immigrazione cinese a Prato è esclusivamente un'immigrazione economica che non ha come obiettivo l'integrazione, come la intendiamo noi, all'interno della nostra comunità di accoglienza per godere dei benefici e degli stili di vita che gli immigrati trovano nella nostra città e nel nostro paese. Ci si integra in una società quando si sceglie la società di destinazione, la si accetta, e ci si augura di farne parte in prima persona e con i propri figli, contribuendone al suo benessere. Ciò accade in Italia per molte etnie, ma non certo per i cinesi.
Non si può dolersi che la comunità cinese non abbia avuto finora la possibilità di entrare in comunicazione con la comunità pretese ed italiana a causa di nostri errori. Un immigrato cinese non si trasferisce in Italia perché ama l'Italia, ne apprezza la cultura, e desidera che i propri figli vivano secondo le nostre abitudini. Un immigrato cinese, in particolare originario della provincia dello Zhejiang, si sposta per realizzare un'opportunità di guadagno, per ottenere un successo economico, indipendentemente dal paese nel quale questo progetto lo possa portare, o al massimo per sfuggire alla pianificazione familiare imposta in patria ed assicurarsi una numerosa discendenza.
Un immigrato cinese mantiene ben stretta la propria cittadinanza, perché sa bene che la Repubblica Popolare Cinese vieta per legge la doppia cittadinanza, e se vi rinunciasse verrebbe immediatamente considerato un traditore. La rete dei rapporti di solidarietà e cooperazione tra cinesi è talmente ben oliata da rimanere volutamente impenetrabile. Infatti, tale rete ha bisogno, per la sua sopravvivenza, di restare esterna alla società di accoglienza, perché altrimenti ne sarebbe soppressa dalle sue regole. Tale rete crea luoghi di extra-territorialità nei paesi stranieri e pone una seria minaccia allo stato di diritto dei paesi occidentali, ed in particolare dell'Italia.
L'immigrazione cinese è una grossa sfida per lo Stato nazionale e per l'Europa. La presenza della comunità cinese porta lo Stato ad interrogarsi sul suo ruolo, e sulle ragioni della sua esitenza. Ciò che le nostre istituzioni possono fare non è forzare la via verso una integrazione che non è richiesta, e nemmeno voluta, dalla stragrande maggioranza dei cinesi presenti a Prato. Ciò che lo Stato può fare è esercitare i suoi poteri affinché i commerci cinesi rispettino le regole che la nostra comunità si è data e che tali commerci distribuiscano legalmente i benefici su tutte le comunità in gioco. Lo strapotere della produzione e della distribuzione dei prodotti cinesi, deve essere ricondotto ad un vantaggio reciproco. Lo Stato deve riuscire a ricondurre la presenza dei business cinesi secondo razionalità.
Bene ha fatto il nostro sindaco a coinvolgere il nostro governo, i diplomatici della Repubblica Popolare Cinese, ed anche l'Europa. E' un salto di qualità necessario per contrastare il fenomeno. Vi è un problema generale sul controllo dell'immigrazione economica cinese in Italia, in Europa, e in molte parti del mondo. Se la Cina comunista vuole essere un partner mondiale affidabile e cooperativo deve provvedere alla corretta gestione dei flussi migratori provenienti dal paese.
La sfida a mio avviso non riguarda l'integrazione dei migranti cinesi, ma la vera sfida è la sopravvivenza del nostro modello occidentale di diritto e di convivenza nei confronti della strisciante e sottile aggressione economica e culturale di un mondo diasporico e transnazionale proveniente dalla Cina continentale, ed in particolare dalla provincia dello Zhejiang.
Damiano Baroncelli
Disegna un quadro, invero un quadro ben noto che vede le tinte fosche dell'immigrazione cinese regolare e clandestina, di un drago strisciante pronto a mangiarsi cultura, economia ed il modello intero di vita del cittadino italiano.
Ne deriva che l'unico modo per fare rispettare il "modello Italia" sarebbe quello di fare di tutto per reprimere il fenomeno cinesi e non il fenomeno Cina (che è altra cosa), potenziando a tal punto la repressione, e confidare - in estrema sintesi - che le migliai dei cinesi si impauriscano di simile forza (arrivano ben otto poliziotti a breve, magari superpoliziotti con equipaggiamenti speciali) e scappino via impauriti e tremanti.
Questa sarebbe il modello occidentale che apparterrebbe secondo Baroncelli alla nostra cultura occidentale ed al nostro stato di diritto! Beh, pur comprendendo le motivazioni e le ragioni che inducono ad essere duri contro chi delinque, altrettanto debbo dire che il nostro modello di diritto ci impone il tentativo di tendere la mano a chi vorrà tenderla a noi.
Questo è il mio modello, ben distante dal modello Padania, dunque.
Partire dal presupposto che perchè è cinese o perchè l'analisi storica di quel fenomenorechi a simili conclusioni, la mia cultura (quella occidentale, quella che ci anima e ci guida e che vorremmo fosse patrimonio di tutti) mi induce a fare quell'antipatico, odioso, antipopolare tentativo d'integrazione!
Diverso da venti anni fa: oggi sappiamo, non ci tappiamo gli occhi. Oggi ci muoviamo e siamo d'accordo reprimere l'illegalità, ma abbiamo anche gli occhi per vedere che il fenomeno cinese è ben più ampio di quello che si racconta come una favola e il buon politico ha il dovere di trovare delle soluzioni, di individuare compromessi (nel senso positivo del termine), di contemperare quegli equilibri su cui oggi si muove la città.
Imperativo: andare oltre la gestione dell'emergenza.
"Cinesi a Prato: la vera sfida non è l'integrazione, ma la sopravvivenza del modello occidentale dello Stato di diritto
Cinesi a Prato: la vera sfida non è l'integrazione, ma la sopravvivenza del modello occidentale dello Stato di diritto.
Leggendo alcuni resoconti sull'insediamento odierno a Prato, alla presenza del Ministro dell'Interno Maroni, del Tavolo Permanente sull'Immigrazione, si avverte il tentativo mai sopito di alcune parti di rilanciare attaverso l'integrazione la soluzione della aliena e dilagante presenza della comunità cinese sul territorio. Come se venti anni di insuccessi non avessero insegnato nulla!
L'immigrazione cinese a Prato è esclusivamente un'immigrazione economica che non ha come obiettivo l'integrazione, come la intendiamo noi, all'interno della nostra comunità di accoglienza per godere dei benefici e degli stili di vita che gli immigrati trovano nella nostra città e nel nostro paese. Ci si integra in una società quando si sceglie la società di destinazione, la si accetta, e ci si augura di farne parte in prima persona e con i propri figli, contribuendone al suo benessere. Ciò accade in Italia per molte etnie, ma non certo per i cinesi.
Non si può dolersi che la comunità cinese non abbia avuto finora la possibilità di entrare in comunicazione con la comunità pretese ed italiana a causa di nostri errori. Un immigrato cinese non si trasferisce in Italia perché ama l'Italia, ne apprezza la cultura, e desidera che i propri figli vivano secondo le nostre abitudini. Un immigrato cinese, in particolare originario della provincia dello Zhejiang, si sposta per realizzare un'opportunità di guadagno, per ottenere un successo economico, indipendentemente dal paese nel quale questo progetto lo possa portare, o al massimo per sfuggire alla pianificazione familiare imposta in patria ed assicurarsi una numerosa discendenza.
Un immigrato cinese mantiene ben stretta la propria cittadinanza, perché sa bene che la Repubblica Popolare Cinese vieta per legge la doppia cittadinanza, e se vi rinunciasse verrebbe immediatamente considerato un traditore. La rete dei rapporti di solidarietà e cooperazione tra cinesi è talmente ben oliata da rimanere volutamente impenetrabile. Infatti, tale rete ha bisogno, per la sua sopravvivenza, di restare esterna alla società di accoglienza, perché altrimenti ne sarebbe soppressa dalle sue regole. Tale rete crea luoghi di extra-territorialità nei paesi stranieri e pone una seria minaccia allo stato di diritto dei paesi occidentali, ed in particolare dell'Italia.
L'immigrazione cinese è una grossa sfida per lo Stato nazionale e per l'Europa. La presenza della comunità cinese porta lo Stato ad interrogarsi sul suo ruolo, e sulle ragioni della sua esitenza. Ciò che le nostre istituzioni possono fare non è forzare la via verso una integrazione che non è richiesta, e nemmeno voluta, dalla stragrande maggioranza dei cinesi presenti a Prato. Ciò che lo Stato può fare è esercitare i suoi poteri affinché i commerci cinesi rispettino le regole che la nostra comunità si è data e che tali commerci distribuiscano legalmente i benefici su tutte le comunità in gioco. Lo strapotere della produzione e della distribuzione dei prodotti cinesi, deve essere ricondotto ad un vantaggio reciproco. Lo Stato deve riuscire a ricondurre la presenza dei business cinesi secondo razionalità.
Bene ha fatto il nostro sindaco a coinvolgere il nostro governo, i diplomatici della Repubblica Popolare Cinese, ed anche l'Europa. E' un salto di qualità necessario per contrastare il fenomeno. Vi è un problema generale sul controllo dell'immigrazione economica cinese in Italia, in Europa, e in molte parti del mondo. Se la Cina comunista vuole essere un partner mondiale affidabile e cooperativo deve provvedere alla corretta gestione dei flussi migratori provenienti dal paese.
La sfida a mio avviso non riguarda l'integrazione dei migranti cinesi, ma la vera sfida è la sopravvivenza del nostro modello occidentale di diritto e di convivenza nei confronti della strisciante e sottile aggressione economica e culturale di un mondo diasporico e transnazionale proveniente dalla Cina continentale, ed in particolare dalla provincia dello Zhejiang.
Damiano Baroncelli
Querci manda a vuoto un dardo, ma alla fine aiuta a cogliere il punto. Il modello occidentale non è affatto un modello repressivo, come la sua parodia vorrebbe far intendere, e come pare attribuire, sbagliando, al mio pensiero. Invero il modello occidentale europeo è estremamente generoso, accogliente e garantista come nessun altro al mondo. Tuttavia è proprio quando il filone politico culturale di Querci, ma soprattutto alla sinistra di Querci, disconosce i meccanismi di autodifesa del nostro modello, che lo sottopone ad uno stress che alla lunga può rivelarsi non sostenibile. Non si può pensare che la percezione dell'alto grado di civiltà della nostra società, impedisca il ricorso agli strumenti necessari alla sua difesa e alla difesa dei cittadini - siano essi lavoratori, famiglie, imprese - che ne fanno parte nel momento del pericolo. Questo modo di pensare è autodistruttivo per la società o al massimo autoassolutorio per chi lo pratica. Cosa inaccettabile da parte di chi ha delle responsabilità civili nei confronti della propria comunità. La differenza della mia posizione e quella di Querci si sostanzia a mio avviso nella diversa percezione del pericolo che la nostra società e la nostra città stanno vivendo di fronte al dilagare della comunità cinese. I pratesi godono di un ottica privilegiata. Basta guardarsi attorno per dare una risposta!
RispondiEliminaDamiano Baroncelli
Avv. Francesco Querci ha detto...
RispondiEliminail mondo cambia, Prato è cambiato: bisogna cogliere le opportunità che la globalizzazione può darti oppure fermarsi, ottusamente, su posizione di retroguardia e di difesa ad oltranza.
I Fenomeno vanno governati, non subiti.
Fermezza e rigore, sono dati per me pacifici di uno stato di diritto, ma poi il mondo va avanti
e la politica deve fare le sue scelte.
'isolamento oramai Ti porta al collassare il sistema! Anche la Cina non è più quella di venti anni fa, così come Prato ( che piaccia o pure no).
La Doifferenza è guardare solo dietro o provare a guardare anche dopo l'ostacolo in modo ben diverso - si noti - di come hanno fatto quelli che stanno a sinistra!)